In Locomotore

Perché non facciamo politica?

Intervento di Diego Gianluigi Di Salvo su “In Locomotore” organo del Movimento di Formazione Politico-Culturale “La Locomotiva”

Qualcuno, più saggio ed esperto di me, nel tentativo, invero assai faticoso, di dare una definizione della politica d’oggi ha sostenuto che essa fosse: “la sintesi delle attività che hanno ad oggetto gli in­teressi della collettività e che presuppongono, per la loro attuazione, la conquista del potere politico”, E’ forse questo il modo in cui la collettività concana inten­de e vive la politica?

L’esperienza da me svolta con il movimento e le oppor­tunità di contatto con i citta­dini del nostro comune mi hanno posto dinanzi agli oc­chi diversi approcci o concet­ti di politica.

Il primo di essi si manifesta in un sentimento di repulsione verso le varie fenomenologie politiche. Questi atteggia­menti asettici sono giustificati o da un’idea di amoralità del­la politica oppure da un vero e proprio complesso sintetiz­zabile nella convinzione che la politica sia praticabile da pochi “eletti”.

Quanto al discorso intorno all’amoralità della politica, partendo da un concetto di morale che la vede come l’in­sieme dei principi che guida­no l’uomo nel compimento di un’azione, possiamo ben dire che esiste anche un con­cetto di morale politica. Que­sta è una morale di fine o, come pure si dice, del dovere per il dovere. Per quanto ri­provevole l’azione possa es­sere, è comunque giustifica­ta dal raggiungimento del fine (principio) che ci si è prefissati. Come può notarsi, parlare di amoralità della po­litica è un non senso.

Il rilievo della politica come “cosa pra­ticabile da pochi” non ha una reale importanza, esso, infatti, cade di fronte ad una semplice considerazione: per­ché qualcosa che nasce per realizzare il benessere collettivo non dovrebbe essere pra­ticata, offerta, vissuta da tut­ti?

Tali atteggiamenti celano, in realtà, una sorta di timore re­verenziale, che si manifesta più gravemente in un atteg­giamento di mitizzazione di coloro che, come qualcuno ha sostenuto, “hanno il corag­gio di esporsi”. Personalmente credo che gli appartenenti alla nostra classe dirigenziale non siano figli di chissà quale dotta scuola politica, né tan­tomeno investiti da stregoni in qualche pratica arcana. Hanno dalla loro semplicemente una maggiore capaci­tà di sapersi abbandonare ad un sentimento comune a tut­ti gli uomini: la curiosità di sperimentare campi nuovi dello scibile.

Un altro argomento che mi disturba e non poco, è quello relativo ad un presunto “vincolo di voto” nei confron­ti di fratelli, cugini, cognati e parenti tutti; quasi come se la capacità di un soggetto nella politica si misurasse con la vicinanza del rapporto paren­tale. In sé considerata questa pratica “folcloristica” non ha tutto di negativo, a parte la responsabilità di portare in consiglio personaggi mum- mieschi che, spero per pigri­zia, si limitano solo ad una alzata di mano a comando. Lungi da me pensare a spac­cature o rotture familiari e so­no pur cosciente della stima e del rispetto che notoria­mente regnano nella fami­glie, nonché della necessità di una partecipazione colletti­va alla politica; occorre però un minimo di buon senso!!!!!

lo credo che, se la politica fosse vissuta come quello che in realtà è: confronto intelli­gente di idee differenti, non ci sarebbe nulla di scandalo­so nel pensarla diversamente da un proprio parente, per prossimo che possa essere. Il fatto è che, soprattutto nel nostro comune, la politica è vissuta come una guerra ed allora le alleanze sono fondamentali.

A coloro poi che difendono a spada tratta le loro posizioni ed ora l’uno ora l’altro candi­dato vorrei porre alcune do­mande. Con che metro misurate l’ido­neità dei soggetti a rivestire quelle posizioni che nobili , antiche e prestigiose sono le più importanti dell’intero as­setto societario?

Vi siete accorti che la mag­gior parte dei componenti “l’élite” politica concana sono gli stessi da decenni?

Non sono forse queste le per­sone che, ingenuamente, hanno sempre esaurito le lo­ro energie in un’euforica, e spesso menzognera, campa­gna elettorale e nella mera conquista del potere politico?

Non hanno forse dimentica­to questi signori che la quali­tà vera della politica è una elevazione del benessere col­lettivo?

Ebbene, la responsabilità che troppo spesso addossiamo alle amministrazioni è sicura­mente in parte anche la no­stra, quali elettori distratti.

Un ultimo invito alla riflessio­ne voglio farlo soprattutto a coloro che saranno i nostri prossimi amministratori. L’azione politica è in ogni ca­so giustificabile, pur rima­nendo opinabile, ma quando essa è contraria alle regole, ai principi fondamentali che in­formano la convivenza uma­na allora, oltre che reato essa diventa disgustosamente vi­scida. Quali i limiti, dunque, all’azione politica?

Questi si riscontrano in quel patrimonio solido, figlio della buona politica, inattaccabile ed incalpestabile ex punto di arrivo e solida base di parten­za, disseminato nelle nostre menti, nelle nostre coscienze e cristallizzato nell’ordina­mento. Vorrei richiamare l’at­tenzione solo sull’art. 48 comma II Cost.: “IL VOTO E’ PERSONALE ED UGUALE, LI­BERO E SEGRETO”.

Minare in qualsiasi forma la sua LIBERTÀ di espressione è un atto abominevole; il voto non è un bene commerciabi­le. Esso è un diritto intangibi­le del cittadino; è uno, e forse il più importante, degli stru­menti attraverso cui si parte­cipa attivamente alla vita po­litica e sociale del paese.

Cari amministratori in fieri, la politica è un atto di amore, è disponibilità incondizionata e contatto continuo con gli elettori; certamente questi compiti non si assolvono con presenzialismi dell’ultimo mo­mento, ma attraverso un’ope­ra continua di confronto e di scambio.

Spero sinceramente che l’in­tera competizione elettorale si svolga secondo i canoni della civiltà e della educazio­ne, ma soprattutto spero che qualcosa nel modo di fare politica possa finalmente cambiare.

A tutti i candidati in bocca al lupo!

Diego Di Salvo

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